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Sardegna: un’isola di compromessi

Sardegna: terra di sperimentazioni, equilibri incerti e papabili soluzioni.

Gli anni 20 del Duemila si sono aperti con un generale contesto di crisi climatica e ambientale, ma non solo. Se si guarda esclusivamente il panorama italiano, il quadro delle conseguenze climatiche e dei danni ambientali si configura in situazioni limite e danni da dissesto idrogeologico sempre più frequenti, e soprattutto ingenti. Se a questa situazione geoclimatica si affianca la crisi economico-politica del Bel Paese – assenza di investimenti pubblici, diseducazione ambientale, consumo del suolo, crisi immobiliare, solo per citarne alcune – il quadro peggiora drasticamente, sia nell’immediata percezione che nelle simulazioni di crescita e sviluppo futuro. Architettura e Urbanistica sono indubbiamente tra gli elementi cardine dell’equilibrio territoriale e hanno un peso non indifferente nel quadro complessivo, rivestendo un ruolo non proprio periferico nella catena dell’economia, della salute pubblica e in generale del welfare. Dove la cultura architettonica ed urbanistica sono precarie o poste in secondo, terzo o quarto piano, allora si hanno necessariamente delle conseguenze in tutti gli altri campi, siano esse a breve o lungo termine. Come intervenire, quindi, da architetti, pianificatori o tecnici? La Regione Autonoma della Sardegna potrebbe essere l’esempio da seguire, sul cui modello poter migliorare.

Un’emergenza oltre le grandi città

È indubbio che oggi ci sia bisogno di una nuova visione, con la riqualificazione delle realtà urbane esistenti e la pianificazione della loro espansione, ma soprattutto la cura e la tutela di ciò che le circonda; un approccio programmatico in chiave più attenta al lato paesaggistico, al clima e, non da meno, al minor consumo di suolo.

Accanto ai temi tanto dibattuti dei parchi urbani, boschi verticali, forestazione delle città e tanti altri progetti che cercano di migliorare nel breve e nel lungo termine le condizioni di vita e l’impatto ambientale delle città, c’è un’Italia di piccoli e medi centri urbani, sterminate campagne e coste marine. È un’Italia che lotta, specialmente nel Meridione, con il dissesto idrogeologico, la mancanza di infrastrutture e ritmi di vita completamente differenti da quelli oggi considerati “caldi”. È il resto del territorio italiano che viene lasciato a sé stesso e caratterizzato da una pianificazione locale a livello comunale e regionale priva di grandi obiettivi paesaggistici, spesso priva persino delle qualità abitative minime e di scelte orientate ad un futuro “migliore” capace di imparare dai propri errori e agire prima che sia troppo tardi.

Più ci si allontana dal centro urbano di media ed alta importanza, più questa attenzione ad un disegno più omogeneo e calibrato tende, con alcune eccezioni principalmente diffuse nel Nord Italia, a diminuire.

Una prova tangibile di questa situazione è la preoccupante situazione dei Regolamenti Edilizi, strumento di primaria e basilare importanza per l’edificazione e la progettazione. Essi mancano ancora in alcuni centri più piccoli, e sono seguiti da altrettanti assenti come i Piani Particolareggiati, i Piani Urbanistici Comunali e i Piani Comunali delle Coste. Se presenti, comunque, sono spesso privi di qualità e realizzati solo al fine di adempiere agli obblighi di legge.

In questo regime di discontinuità, le amministrazioni regionali sono incaricate di omogeneizzare le linee guida dei Piani Comunali e lo Stato, anche tramite apposite leggi nazionali (si veda come il “Decreto Sblocca Italia”¹ voluto nel 2014 dal Ministro per la Semplificazione Madia abbia cercato di arginare questo dilemma con un accordo Regioni-Stato-Comuni per la compilazione “guidata” tramite un Regolamento Edilizio tipo), cerca di forzare la mano.

Ma lontano dalle grandi Eccellenze che spesso appaiono sui quotidiani, lontano dalle luci della ribalta di “green marketing” firmate da grandi nomi, c’è un’Italia che non si rivolge ai professionisti e cerca, tramite tecnici d’ufficio, di adempiere agli obblighi senza pensare alla qualità progettuale ed alle conseguenze, ambientali, economiche e sociali.

La Sardegna tra alti e bassi

Se c’è una realtà che non è esente da queste problematiche è quella isolana della Regione Autonoma della Sardegna.

La Sardegna è una terra di contraddizioni, segnata dalla povertà e da una perenne crisi interna, spesso slegata dalle crisi nazionali, ma legata a caratteristiche proprie della sua situazione politica e sociale. Nonostante ciò è sempre riuscita – con differenti motivazioni e tramite strumenti diversificati – a curare il proprio paesaggio puntando ad un equilibrio tra sviluppo, economia ed ambiente.

L’Isola si presenta oggi come una terra fatta di pochissime città e che rappresenta nel concreto un riassunto delle grandi differenze che caratterizzano l’Italia. Il suo territorio è in larga parte campagna aperta e la sua densità abitativa di 68 ab/kmq è tra le più basse dello Stivale², la più bassa se consideriamo le regioni che superano un milione di abitanti. Rappresenta una delle regioni europee economicamente avanzate che convive con un ecosistema fondamentalmente intatto, con grandi porzioni di territorio quasi vergini. Ed è per questo che il suo approccio paesaggistico può essere un esempio per tutte quelle regioni che ancora cercano di preservare la propria naturalità e che vogliono anticipare – nell’ipotesi auspicata di crescita nei prossimi decenni – il grande consumo di suolo, la perdita della naturalità delle coste, e le inevitabili conseguenze climatiche e ambientali, che si aggiungerebbero a quelle già percettibili in questi anni di grandi stravolgimenti globali.

Dalle Foreste alle Coste

Innanzitutto è importante capire che il problema del consumo di suolo e di danno ambientale è molto più recente di quel che si pensa, anche se non è difficile incontrare situazioni limite antecedenti agli anni ’80, quando il boom turistico della Sardegna ha iniziato ad interessare tutte le coste dell’Isola e non solo punti localmente concentrati³. Questo perché l’abbandono delle terre, durante il secondo dopoguerra, ha permesso alla vegetazione naturale di espandersi in quei posti dove, fino all’800, sorgevano imponenti foreste primarie che ricoprivano circa due terzi dell’Isola e che sono state quasi completamente disboscate per l’impiego di legname (produzione di carbone, realizzazione di traversine ferroviarie per la Penisola e non solo)⁴. Malgrado questi disboscamenti la Sardegna è rimasta una delle terre più selvagge e verdi del Mediterraneo. Essa mantenne il carattere selvaggio che stimolò nella popolazione il forte rapporto con la natura. Le fluttuazioni demografiche hanno, successivamente, provocato l’espansione dei boschi in zone precedentemente coltivate, ma la tendenza è stata quella di una contrazione delle aree forestali.

A tutela di questo patrimonio secolare a rischio, la Regione Autonoma della Sardegna ha sempre supportato la creazione di norme e corpi che lavorassero per la tutela, la prevenzione, la manutenzione e la salvaguardia dei boschi in generale. Oggi, analogamente ad altre agenzie regionali che si occupano dei settori educativi, culturali, sociali ed antropologici, esiste un comparto dei funzionari pubblici della Regione che è esclusivamente dedicato a questo lavoro, tramite l’ex Ente Foreste della Sardegna (oggi confluito nell’Agenzia Forestas)⁵.

Un nuovo capitolo si è avviato con la nascita del turismo balneare che nello stesso dopoguerra si iniziava a consolidare nelle coste sarde.

In alcune realtà come la Costa Smeralda, la volontà privata di ricreare un ambiente naturale e curato – anche grazie all’ingente quantità di soldi e di investimenti – ha fatto sì che si trovasse un equilibrio tra natura e costruito già a partire dagli anni ’60 del secolo scorso. Il “Modello Costa Smeralda”⁶ si contende il titolo di “più auspicato”⁷ per lo sviluppo delle coste sarde per la capacità di alternare costruito e verde, spazio naturale ed urbanizzazione, al netto di polemiche sociali sulla tipologia di frequentatori ed utenti⁸. Tuttavia, si contende anche il titolo di “più irrispettoso e insostenibile”⁹, perché incentrato su uno sviluppo costiero di serialità e completa insensibilità verso le vocazioni locali.

La predominanza di ville e l’abbondanza di giardini, rispettosi della macchia mediterranea e progettati per inserirsi con minor danno possibile all’interno delle colline rocciose della Gallura, è oggi l’esempio migliore non di “turismo di massa per miliardari”, ma di capacità paesaggistica di pensare un modello equilibrato ma efficace che rimanga attuale col passare del tempo e permetta uno sviluppo dosato del costruito.

In contemporanea, proprio negli stessi anni, ma in altre parti dell’Isola, la completa libertà edilizia e l’assenza di norme paesaggistiche locali ben definite (come la non necessità di concessione edilizia rilasciata dal comune) hanno permesso la costruzione di opere simili tra loro, dalla cura ambientale e dal disegno architettonico molto meno raffinato, e spesso in totale assenza di autorizzazioni comunali.

Tuttavia, il tasso di crescita edilizia era talmente basso che nella maggior parte dei casi i danni sono stati abbastanza contenuti. Oltretutto, la necessità di occupazione della popolazione isolana aveva permesso, tramite il neonato Ente¹º, di compensare l’edificazione con grandi ed imponenti campagne di piantumazione¹¹.

Pur non essendo collegata all’aspetto edilizio, un primo stop ai pochi progetti che venivano costruiti sulle coste fu dato quando la Regione, tra il 1950 e il 1962¹², ha radicalmente modificato il paesaggio litoraneo con un intervento paesaggistico¹³ finalizzato ad arginare il surrenamento delle coste ed alla bonifica dei terreni paludosi, principalmente tramite opere di sistemazione idraulico-forestale e centinaia di migliaia di ettari di piantumazioni di Pino Marittimo. Nessuna pineta dell’Isola è naturale, nonostante oggi facciano parte del paesaggio e l’intervento totale finanziato dalla Cassa del Mezzogiorno riguardò poco più di 1 milione di ettari¹⁴. È stato il primo passo contro la desertificazione dell’Isola¹⁵, seppur per ragioni agricole e paesaggistiche.

Le Basi dell’Urbanistica Regionale

A partire da questa situazione, si è man mano acquisita più consapevolezza del valore ambientale e paesaggistico dell’Isola, che ha determinato anche, negativamente, una certa lentezza nella formulazione e nell’applicazione di efficaci e progrediti piani urbanistici locali.

Per combattere lo sregolato boom turistico-edilizio successivo al successo della Costa Smeralda (capace di surclassare il sentimento di legame con l’ambiente della cultura locale), la Regione si è vista costretta ad arginare la costruzione di strutture ricettive e di abitazioni nelle fasce costiere, poiché i comuni non agivano tempestivamente. Mentre la Regione preparava già il proprio Piano Paesaggistico Regionale, il decreto ministeriale sulle costruzioni del 1967¹⁶ iniziò ad imporre vincoli più ragionati. Nonostante ciò, l’abusivismo era diffuso ed implacabile e portò alla creazione, nel 1985 e dopo varie sperimentazioni, di un’apposita polizia forestale, il Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale, che si occupasse esplicitamente della salvaguardia del paesaggio e di guerra all’abusivismo edilizio. In questo periodo, l’intensità degli interessi immobiliari e dell’edilizia abusiva turistica si acuirono a tal punto che i caratteri naturali e le tradizioni insediative vennero completamente stravolte, fino a presentare scenari irreparabili.

La scarsa popolazione e la situazione di stallo che da sempre avevano contraddistinto la Sardegna non sono più, improvvisamente, gli elementi fondamentali di un equilibrio ambientale e paesaggistico. La Regione inizia così a delineare un iter per la miglior gestione e la salvaguardia del bene ambientale. Parte dai contributi ai comuni per gli adempimenti alla Legge del 1967 ed alla redazione dei piani urbanistici e dei regolamenti edilizi¹⁷, prosegue con la classificazione delle aree di costruibilità¹⁸ – dalla A alla G, in ordine crescente di tutela -, passando per le strutture preesistenti e quelle di futura costruzione (1981). Seguirà la più completa e definitiva Legge Regionale sull’organizzazione e la coerenza degli strumenti programmatici edilizi e urbanistici delle amministrazioni: Legge Regionale del 1985, “Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale”¹⁹. Per fare un paragone, a livello di tempistiche e di evoluzione delle normative, la Regione Autonoma della Sicilia ha promulgato la Legge Urbanistica di Competenza nel 1978 e ha, dopo integrazioni non modificanti nella sostanza, proposto una revisione completa solo nel 2019²º.

Con le rettifiche del 1993 si delineano definitivamente i caratteri che hanno regolato l’espansione urbana e la tutela ambientale fino al 2006, quando vennero integrate dal nuovo Piano Paesaggistico Regionale.

È fatto divieto di costruire, in qualsiasi situazione, a meno di 300 metri dalla battigia, anche nelle zone elevate, ciò prive di spiagge. È la fascia di divieto assoluto, che vincola tutt’oggi anche il posizionamento, l’installazione e l’allaccio di chioschi, passerelle, servizi e qualsiasi manufatto anche removibile. Si sancisce, di fatto, che la fascia costiera di prima linea è un bene assoluto indisponibile.

A questo vincolo è affiancata la possibilità di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo purché non alterino lo stato dei luoghi, non aumentino la superficie di suolo occupata e non aumentino le volumetrie. Alcune eccezioni, ma mai verso il mare, vengono permesse alle attività alberghiere e turistiche affinché razionalizzino le proprie strutture.

Le stesse norme forzano i comuni a dotarsi di Piani Urbanistici e Piani Paesaggistici, in accordo con Province e Comunità Montane (ente oggi soppresso), che programmino l’espansione e le lottizzazioni future dei centri urbani, delineando anche le aree destinate alla tutela assoluta.

Viene anche introdotta una novità: oltre agli indici di cubatura tradizionalmente stabiliti, si sanciscono i rapporti minimi di costruibilità fuori dal tessuto urbano e fuori dalla fascia di divieto assoluto, stabilendo il principio che, per costruire nell’agro, si debba avere una superficie minima di intervento pari a 3 ettari per le abitazioni e 5 ettari per altre attività.

Il Piano Paesaggistico Regionale non è perfetto, ma funziona. Specialmente perché riesce ad omogeneizzare l’edilizia in tutta la Regione, blocca importanti speculazioni edilizie durante un florido periodo turistico in espansione, e getta le basi per una salvaguardia paesaggistica non solo “naturale”, ma anche architettonica.

Aspetti architettonici

La Regione, in accordo con le Belle Arti, si fa anche carico di normare e valutare le caratteristiche architettoniche che gli edifici – siano essi abitazioni, case a schiera, alberghi, strutture industriali o altro – devono avere per ricevere approvazione, sia nel contesto urbano che extraurbano. Non è più solo il comune che, secondo il proprio Regolamento Edilizio, approva il progetto architettonico di una nuova costruzione, ma anche la Regione richiede espressamente il rispetto – fin dentro i centri urbani – delle caratteristiche formali e stilistiche che rappresentano l’architettura sarda al di fuori delle grandi e medie città. A questo proposito, la burocrazia stabilisce l’approvazione sia da parte dell’Ufficio delle Belle Arti e Tutela del Patrimonio, che da parte dell’Ufficio Regionale per la Tutela del Territorio.

Se per varie vicissitudini, prima delle nuove norme, è stato possibile realizzare condomini e grandi complessi a schiera nei capoluoghi di provincia e nei maggiori centri urbani dell’Isola, dal 1993 la Regione propende per la tipologia mediterranea delle case uni e bi familiari con giardino o cortile in tutti quei centri dove non si sono ancora sviluppati gli edifici maggiori di tre piani.

Non viene definita, tuttavia, una linea esplicita di stilemi e di caratteristiche architettoniche per gli edifici: si generano così, specialmente in contesti ambigui come le periferie di nuova lottizzazione dei piccoli centri, scontri che limitano e disincentivano l’arrivo dello stile contemporaneo nelle abitazioni sarde. Si favoriscono quei progetti che richiamano le forme più arcaiche e rurali delle “case di campagna”, delle abitazioni tradizionali e dei palazzi signorili anche modesti.

La Regione si sforza, in questo periodo, di sopperire a monte delle problematiche e delle disparità che potrebbero sorgere tra un comune e l’altro, stabilendo delle linee guida generiche ma significative. Lo stile “mediterraneo sardo” (già sperimentato negli anni Cinquanta e Sessanta da architetti pionieri come Marco Zanuso e la sua “Casa Arzale”, in foto) diventa, con le sue declinazioni locali, il linguaggio campione a cui ispirarsi, in particolare quello sperimentato nella Costa Smeralda, seppur fosse totalmente inventato dagli architetti Luigi Vietti, Jacques Couelle e Michele Busiri Vici durante la progettazione del villaggio di Porto Cervo, con l’appoggio del Comune di Arzachena, poi ripreso in altre realtà come l’Hotel Su Gologone di Giovanni Antonio Sulas.

Con questo strumento si cerca di evitare i grandi abusi edilizi che hanno caratterizzato i decenni precedenti e che si sono rivelati scarsamente qualitativi dal punto di vista architettonico e paesaggistico, incapaci – pur avendo il valore della vicinanza al mare – di trasmettere quel senso di equilibrio ed armonia che invece altri interventi più curati erano riusciti a raggiungere in zone come la Costa Smeralda ed i territori ad essa adiacenti, i quali subivano una forte influenza da quest’ultima.

Sardegna apripista e crisi dell’edilizia

Se oggi la severità architettonica è, per certi versi, andata a diminuire, aprendosi a maggiori varianti di stile e personalizzazioni purché giudicate coerenti e comunque rispettose del paesaggio circostante, non è più armonica la vicenda paesaggistica che anima in queste settimane la scena sarda, sia politica che intellettuale.

A tredici anni dalle modifiche alle norme sul territorio, nel 2006 viene definitivamente approvato il Piano Paesaggistico Regionale²¹ che inasprisce i criteri di costruibilità e punta alla maggiore razionalizzazione dei centri urbani, facendo particolare leva sul ruolo delle amministrazioni comunali, che negli anni era rimasto in ombra.

Con la Legge Regionale n. 8 del 2004, la Sardegna è la prima regione a dotarsi di un Piano Paesaggistico Regionale (PPR)²². Lo fa concentrando tutte le sue energie sugli ambiti costieri, e mettendo da parte, in previsione di un prossimo sviluppo, i territori interni. Principio fondante dell’intera norma è che il paesaggio sia la principale risorsa sulla quale investire nel futuro, grazie al suo intreccio tra luogo, popolo, storia e natura²³.

«Con questa legge – sostiene Cesarina Siddi, Docente di Composizione Architettonica e Urbana presso l’Università di Cagliari – la Regione ha avviato una delle azioni politiche più innovative per la salvaguardia e valorizzazione del patrimonio ambientale delle coste, sottoposte da decenni alla pressione di interessi turistici ed immobiliari.»²⁴

Con l’approvazione del PPR, fortemente voluto dall’allora Presidente della Regione Renato Soru e realizzato sotto la guida dell’urbanista Edoardo Salzano²⁵, venne aggiunto un nuovo significativo vincolo costruttivo alla neonata fascia dei 2 chilometri dalla battigia (limite inizialmente previsto dal Provvedimento Amministrativo Temporaneo denominato “Legge Salvacoste”). Il Piano Paesaggistico di Soru spaziava dalla manutenzione delle coste allo sviluppo sostenibile del territorio, definendo specificatamente eccezioni, ambiti di validità, limiti e criteri. Le isole minori della Sardegna ed i centri urbani che risultavano all’interno di questa nuova “fascia costiera” erano comunque regolati da apposite eccezioni.

Il resto della programmazione è affidato, secondo le linee guida ben specificate da ventisette Ambiti di Paesaggio, ai Piani Urbanistici Comunali, affinché ogni territorio possa pianificare al meglio il proprio futuro e la propria espansione basandosi su principi comuni (come il divieto, sempre nella fascia costiera, di nuove strutture ricettive, nuovi edifici industriali o grandi centri commerciali, campi da golf, attrezzature per camper, ecc.).

In più, per vincolare maggiormente le eventuali pressioni locali sui nuovi Piani Urbanistici, il neonato strumento normativo individua delle aree di rispetto, tra aree SIC (di interesse comunitario come parchi, monti e riserve), aree naturali tutelate ed aree a vincolo idro-geologico. Stabilisce l’importanza di riserve, parchi naturali, cantieri di piantumazione, foreste demaniali ed altre aree di interesse.

È un approccio completamente nuovo alla tutela ed alla gestione del costruito in Sardegna, tanto che, negli anni successivi alla sua approvazione, il PPR è stato oggetto di attenzione internazionale, oltre che delle altre regioni italiane.

L’obiettivo della legge era inoltre quello di spostare la bilancia del turismo più all’interno, prendendo esempio dalla situazione della Corsica, dove anche le colline sono meta di turisti balneari che non possono o non vogliono soggiornare direttamente sulla costa. Allo stesso modo, la Legge avrebbe aiutato a ricucire il tessuto urbano di quei paesi che si ritrovano numerosi lotti “urbani” inedificati e che determinano una minor razionalizzazione dei servizi e del costruito.

Il Piano Paesaggistico Regionale non fu esente né da critiche, né da ricadute sul livello economico, e venne giudicato incompleto e troppo rigido. Persino i media sardi attaccarono pesantemente il nuovo sistema di tutela, ma questo non servì ad impedirne l’approvazione che, in effetti, negli anni successivi – anche a causa della crisi economica globale del 2008 – comportò una grave crisi dell’edilizia in Sardegna, che si è protratta fino al 2010.

Il Piano, d’altronde, non prevedeva finanziamenti o alternative per lo sviluppo edilizio della Sardegna, né proponeva vie di espansione dell’architettura rurale già esistente, eliminando in toto la possibilità di valorizzare il patrimonio architettonico rurale abbandonato o in decadimento. Anche i progetti già approvati, ma non ancora costruiti, trovarono forti difficoltà di realizzazione e videro la luce solo grazie a lunghi tavoli di confronto e compromessi con gli uffici regionali.

Tentativi di miglioramento e prospettive future

La situazione è andata evolvendosi nel corso degli anni e diverse modifiche tecniche si succedettero con le amministrazioni successive. La fascia costiera oggi varia dai 300 metri ai 5 km, adattandosi alla morfologia ed alle varie realtà delle coste e dei territori. Gli agri non costieri hanno subito nuovi criteri di tutela del paesaggio ed il Piano Casa è stato più volte recepito cercando di inserire clausole ed articoli attuativi che permettessero una timida ma percettibile ripresa dell’edilizia (come l’adeguamento a 3 ettari di superficie minima di intervento per ogni destinazione d’uso)²⁶.

Nel 2009 si è aggiunto il tema delle questioni climatiche ed energetiche e, in coerenza con il Piano Paesaggistico, la Regione ha pubblicato apposite linee guida e norme sul tema, individuando aree idonee o meno, e le condizioni di installazione per impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili²⁷.

L’aspetto architettonico del Piano Paesaggistico è ancora legato alla tradizione ed alla coerenza stilistica dei centri storici, delle case rurali e dello stile “mediterraneo”. Il recepimento delle normative sulla tutela dell’ambiente è avvenuto parallelamente alle vicissitudini edilizie regionali, e tutti i comuni si sono – in maniera più o meno approfondita – adeguati all’obbligo di redigere Piani Urbanistici, Piani Particolareggiati e Piani delle Coste e di Utilizzo dei Litorali.

La Sardegna – per ora – ha scongiurato l’aumento di consumo del suolo e ha sfogato le sue difficoltà su altri aspetti che – pur complicando la situazione economico-sociale della popolazione – favoriscono l’equilibrio ambientale e paesaggistico dell’Isola.

Oggi la Regione protegge, con diversi strumenti, il 18% del territorio in maniera inviolabile²⁸ e tutela con differenti livelli di vincolo il restante 72%²⁹, garantendo la base per un futuro che possa rispettare la natura, aprendosi anche allo sviluppo economico e sociale. Ha sviluppato, nel massimo delle proprie possibilità e finanze, un sistema di programmazione, tutela e divulgazione ambientale, tecnico e culturale, che spazia dalle curiosità alla storia degli enti, dalle norme alle mappe, fino a toccare il multimediale con un Geoportale³º che rappresenta il territorio geolocalizzato attraverso visualizzazioni storiche che arrivano fino agli anni ’40. Mette a disposizione di studenti e professionisti strumenti e conoscenze che permettono di estendere la sensibilità e la progettazione attenta e rispettosa in tutte le sue fasi di formazione e progetto. La Sardegna, almeno per quanto riguarda l’ambiente, investe sul proprio futuro.

È un’isola felice e perfetta? Certo che no. Se si aprissero altri capitoli sempre in tema paesaggistico, urbanistico ed architettonico si potrebbero riscontare notevoli falle nelle norme regionali e comunali. Ma la questione è che la Regione Sardegna ha sempre avuto chiaro e fisso il proprio obiettivo di salvaguardia ambientale, anche in funzione del legame col turismo; così come sono tanti altri i temi da migliorare, dalle infrastrutture al trasporto pubblico, dalla disoccupazione alla programmazione del futuro.

Gli interventi di risoluzione del dissesto idrogeologico sono all’ordine del giorno e sono la voce di spesa più pesante di molti comuni dell’Isola, che ancora combattono con le conseguenze dell’abusivismo o con la mancata realizzazione di infrastrutture finanziate dallo Stato e/o dall’Amministrazione Regionale.

C’è il rischio che domani un nuovo PPR venga approvato e che delle coste sarde non esista più nulla. La speculazione è sempre dietro le porte ed i recenti disegni di legge sono ancora in discussione³¹, ma la consapevolezza e l’attaccamento culturale dei sardi alla propria isola è un valore che argina anche i lobbisti più determinati.

Sembra quasi che una terra dove la raccolta differenziata copre l’86% dei rifiuti³² e dove c’è la media italiana più alta per anzianità di autovetture (10 anni e 9 mesi)³³, non senta così affannosamente il peso della crisi climatica. O meglio, sembra che quest’ultima tardi a concretizzarsi in elementi visibili e percettibili con violenza e costanza.

Sicuramente il futuro delle nostre città e dei nostri territori dovrà essere all’insegna del “green” e dell’abbattimento totale dei consumi energetici, della tutela del suolo e delle risorse naturali, eppure risulta necessario che si stabilisca una diversa applicabilità delle soluzioni per ogni territorio in cui queste vengano messe in pratica. Facendo sì che non solo le scelte di progetto e programmazione siano richieste dalla legge, ma che diventino un modus operandi di base culturale, esportabile in tutti quei territori dove è difficile immaginare un “Bosco Verticale”, ma è invece più facile pensare ad un tessuto urbano più diradato e verde, più aperto all’integrazione della natura e dell’ambiente.

Il “modello Costa Smeralda” non sarà certo l’Eden del paesaggio, ma da un così attento modello di sviluppo è possibile imparare dagli errori, migliorarsi ed integrare le conoscenze acquisite nel tempo, facendo accordare un irrinunciabile sviluppo con la salvaguardia paesaggistica delle terre ancora da evolversi, stabilendo nuovi parametri di progettazione.

L’obiettivo si direbbe quello di una omogeneizzazione del costruito e del verde: dove vi è l’uno non può mancare l’altro. Un’edilizia “sostenibile” che permetta a cittadine e paesi di svilupparsi necessariamente con giardini, ampie strade alberate, tetti verdi e terrapieni, ed altre interessanti scelte che possano rispondere alla richiesta di salvaguardia paesaggistica senza rinunciare alle costruzioni in ambienti meno antropizzati. Ma per parlare di quest’aspetto ci vorrebbe un discorso molto più ampio e complesso.

Oggi siamo ancora in tempo per pianificare quei territori dove non serve la forestazione urbana, ma la capacità di stabilire nuovi criteri di architettura, territorio, ambiente e paesaggio ante aedificationem. Prima che sia troppo tardi.

Postilla:

Questo articolo è stato scritto ad inizio dicembre 2019, quando l’aggiornamento al PPR da parte della Regione Sardegna, con importanti modifiche in termini di facilitazione edilizia, era ancora in discussione presso il Consiglio Regionale. Dopo l’approvazione, avvenuta a fine anno, il “Piano Casa Sardegna” ha minato gli obiettivi e le finalità del PPR di Soru. Successivamente, a Luglio 2020, la Soprintendenza Generale dei Beni Culturali e del Paesaggio della Sardegna, e un’azione congiunta dei ministeri dell’Ambiente e dei Beni Culturali e Paesaggio, hanno impugnato la nuova legge sarda, sollevando dubbi di costituzionalità nelle parti che riguardano la mancata salvaguardia del territorio e del bene comune quale è il paesaggio naturale sardo. Al momento della pubblicazione, quindi, rimane valida la rigida legislazione del 2006 e le considerazioni sin qui fatte.

¹ DECRETO-LEGGE 12 settembre 2014, n. 133, “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive.”, convertito con modificazioni dalla L. 11 novembre 2014, n. 164.
² Dato Istat, Popolazione residente al 31 dicembre 2018, Istat, www.istat.it, data di consultazione 31/12/2019.
³ G.M. Ugolini, La Costa Smeralda e l’Invenzione del turismo in Sardegna, in L’Italia e le sue Regioni, Milano, Treccani, 2015.
⁴ E. Beccu, Tra cronaca e Storia: Le Vicende del Patrimonio Boschivo della Sardegna, Sassari, Carlo Delfino Editore, 2000.
⁵ A questo proposito, tutte le documentazioni, norme, informazioni e prescrizioni sono contenute per tematiche nei siti regionali ufficiali: SardegnaTerritorio.it, SardegnaAmbiente.it e SardegnaForeste.it.
⁶ G.M. Jonghi Lavarini, F. Magnani, In Costa Smeralda. Il Segno dell’Architetto, Milano, Di Baio Editore, 1991.
⁷ G. Baffigo, Turismo e ambiente sono compatibili. Il modello Costa Smeralda lo dimostra, in La Nuova Sardegna, del 03 ottobre 2011.
⁸ C. Beghelli, Di lusso e sostenibile: i due volti del turismo che faranno crescere la Sardegna, in Il Sole 24Ore, del 27 febbraio 2019.
⁹ C. Siddi, Sardegna e Sostenibilità. Tra il dire e il fare…, Eco Web Town – Journal of Sustainable Design, www.ecowebtown.it, numero 5, dicembre 2012, data di consultazione 15/12/2019.
¹º Ente Foreste della Sardegna, oggi FORESTAS, Agenzia Forestale Regionale per lo sviluppo del territorio e dell’ambiente della Sardegna, www.SardegnaForeste.it, data di consultazione 20/12/2019.
¹¹ Le Datazioni e i lavori di piantumazione delle coste sarde sono osservabili nelle foto aeree storiche del 1954 e del 1968 su www.sardegnageoportale.it, data di consultazione 12/12/2019.
¹² G. Barbero, U. Terenzio, P. Steccanelia, N. Fenicia, P. Vicinelli, R. Dentice di Accadia, C. Aiello, A. Panattoni, E. Calamita, R. Rossini, G. Cesarini, A. Frazzitta e P. E. Sodini, Cassa per il Mezzogiorno, Dodici anni 1950-1962. L’attività di bonifica, ASET (Archivi dello Sviluppo Economico Territoriale), www.aset.acs.beniculturali.it, Bari, Laterza, 1962.
¹³ Regio Decreto del 13 Febbraio 1933, Nuove Norme per la Bonifica Integrale.
¹⁴ Vedi nota 12
¹⁵ Recupero delle Pinete Litoranee: Interventi su Scala Regionale, del 05 novembre 2014 in www.sardegnaforeste.it. La Sardegna dedicò ben due decenni all’attuazione totale delle norme previste dalla Legge sulle Bonifiche Integrali del 1933.
¹⁶ Legge 6 agosto 1967, n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla Legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), Legge Ponte, disponibile su www.gazzettaufficiale.it.
¹⁷ Legge Regionale 28 agosto 1968, n. 40, Contributi ai Comuni per la redazione dei regolamenti edilizi e degli annessi programmi di fabbricazione, disponibile su www.regione.sardegna.it.
¹⁸ Legge Regionale 9 marzo 1976, n. 10, Norme in materia urbanistica e misure provvisorie di tutela ambientale, disponibile su www.regione.sardegna.it, poi sostituita dalla Legge Regionale 19 marzo 198, n. 17, Norme in materia urbanistica – Abrogazione delle leggi regionali 28 agosto 1968, n. 40, e 9 marzo 1976, n. 10; integrazioni alla legge regionale 28 aprile 1978, n. 30, disponibile su www.regione.sardegna.it.
¹⁹ Legge Regionale 22 dicembre 1989, n. 45, Norme per l’uso e la tutela del territorio regionale, disponibile su www.regione.sardegna.it.
²º Sicilia: Dopo 41 anni arriva la riforma urbanistica, Regione Sicilia, www.regione.sicilia.it, data di consultazione 12/13/2019.
²¹ Legge Regionale 25 novembre 2004, n. 8, Approvata nel 5 settembre 2006, disponibile su www.sardegnaterritorio.it.
²² Legge Regionale 25 novembre 2004, n. 8, Norme Tecniche di Attuazione, disponibile su www.regione.sardegna.it.
²³ E. Salzano, La Filosofia Del Piano. Appunti e materiali per l’intervento di Edoardo Salzano, Regione Autonoma della Sardegna – Incontri di studio sul Piano Paesaggistico Regionale, 2006.
²⁴ C. Siddi, op. cit.
²⁵ E. Salzano, Lezione di Piano. L’esperienza pioniera del Piano paesaggistico della Sardegna raccontata per voci, Venezia, Corte del Fontego Editore, 2013, disponibile su www.docplayer.it.
²⁶ Sul sito www.sardegnaterritorio.it è presente la documentazione completa di tutte le modifiche dal 2007 ad oggi. L’ultima, al momento della scrittura dell’articolo, è dell’11 gennaio 2019.
²⁷ Legge Regionale 7 agosto 2009, n.3 – DGR del 06/2011, Linee guida attuative del decreto del Ministero per lo Sviluppo Economico del 10/09/2010 “Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili”.
²⁸ Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Rete Natura2000, SIC, ZSC e ZPS in Italia, www.minambiente.it, ultima modifica aprile 2020, data di consultazione 20/04/2020.
²⁹ Poiché non sono disponibili dati aggregati riferibili a percentuali oltre le zone SIC, ZSC e ZPS, al 18% bisogna aggiungere tutti quei siti che per varie ragioni non rientrano in queste categorie (www.sardegnaambiente.it).
³º Geoportale della Sardegna, SardegnaGeoportale, www.sardegnageoportale.it, data di consultazione 22/12/2019.
³¹ Al momento, non è contemplato un vero e proprio PPR ex novo, ma la proposta di legge per il Piano Casa 2020 contiene pesanti modifiche alle prescrizioni del piano vigente: – L. Roj, Ecco il Nuovo Piano Casa, presentata la legge, La Nuova Sardegna, www.lanuovasardegna.it, ultima modifica 16/10/2019, data di consultazione 10/04/2020. – M. Melis, Salviamo la Sardegna: 10 mila firme da tutto il mondo contro il cemento in riva al mare, La Repubblica, www.repubblica.it, ultima modifica 23/01/2020, data di consultazione 30/04/2020.
³² Si veda il sito “Comuni Ricicloni”, www.ricicloni.it.
³³ A. Palmas, In Sardegna record di nonnini al volante, La Nuova Sardegna, www.lanuovasardegna.it, ultima modifica 04/10/2017, data di consultazione 18/12/2019.


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Gabriele Agus Author
Born in 1994, he followed his classical studies at Asproni in Nuoro, in 2017 he graduated in Architecture Sciences at the Polytechnic of Milan, and continued with the Specialization in Architecture Built Environment Interior. Since 2016 he has been involved in copywriting and communication for Architecture and Design, thanks to national publications with Corriere Della Sera and Abitare and to a research internship in History of Architecture in the DAStu – Department of Architecture and Urban Studies. He begins to collaborate with various local realities, from advertising to corporate communication and contents creation. In 2019 he founded his own blog “DISAGUS”, joined the collective AGORÀ, and contributed to the Wikipedia pages of Architecture. He has collaborated on the necklaces “Lessons of Architecture and Design” (2016) “Architecture and Urban Interiors” (2017), “The Challenges of Architecture” (2018), and the books of the series “The Great Cities of Architecture” for Solferino Books.
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