“È felice, che sia re o contadino, colui che trova pace in casa sua.”
Johann Wolfgang von Goethe
Il testo che segue non vuole essere un articolo né un approfondimento scientifico, bensì una critica ai canoni ancorati al passato che ostacolano la ormai inevitabile evoluzione delle esigenze dell’uomo, nella speranza di far riflettere giovani promesse sull’immediato futuro che ci attende.
Preso atto dell’era in cui l’uomo si è piegato al cospetto di un virus spesso letale, non possiamo più pensare che “vivere insieme” sia necessariamente vivere a stretto contatto col prossimo.
Fino a pochi mesi fa, si è molto trattato il tema del co-housing senza concentrarsi sufficientemente sulla privacy del singolo, se non relativamente alla zona notturna. Oggigiorno, invece, ci troviamo davanti l’interrogativo di come poter vivere ugualmente in piccole “sub comunità” pur mantenendo alto (se non più alto) il grado d’allarme legato ad eventuali scambi di fluidi corporei. Tema che, non so se per fortuna o sfortuna, da poco è iniziato ad essere fortemente presente nelle discussioni interne ad architetti e urbanisti.
In un momento così particolare della nostra esistenza, da tempo faccio estrema fatica a non interrogarmi sul modo in cui abbiamo deciso di vivere nell’ultimo secolo. Continuano ad insegnarci, spiegarci, quali sono le giuste dimensioni, metrature cosiddette standard, da seguire per progettare un ambiente casalingo, collettivo o di co-abitazione, eppure collaboriamo a ridurre sempre più verso zero lo spirito critico. Ma davvero continuiamo tutti a credere che questi dimensionamenti, regole e norme siano assolute? Su alcuni punti che riguardano spazi e ambienti quali la zona bagno possiamo anche continuare a concordare che possano necessitare di un alto grado di privacy, ma zone come quella notte?
Come tutto il mondo ormai sta sperimentando, si rischia di dover passare sempre più tempo all’interno della propria abitazione, e malgrado ciò, le camere da letto (sopratutto per chi non è più adolescente) continuano a essere progettate come spazi dalla fruizione limitata. Pur sopravvivendo grazie alle modalità lavorative “smart”, la camera da letto viene abbandonata la mattina, tendenzialmente presto, per recarsi in cucina, preparare il caffè e sistemare la postazione lavorativa, spesso nella sala da pranzo o nella cucina o, per i più fortunati, nello studiolo di casa. La camera da letto viene arieggiata una volta in piedi, e chiusa dalla porta fino al tardo dopo cena, momento in cui decideremo, forse, di terminare la giornata andando a dormire.
In cosa consiste il paradosso di una giornata così impostata? Quando si poteva spensieratamente uscire di casa per recarsi sul posto di lavoro era, ed è tuttora, chiaro come l’intera casa si spegnesse fino al ritorno, in cui avrebbe ripreso a vivere grazie alla nostra presenza; ora, che siamo costretti ad un riadattamento della nostra “comfort zone”, la zona notte viene utilizzata in maniera simile a quanto succedeva prima, nonostante la nostra continua presenza in casa.
Una domanda sorge spontanea: è così indispensabile la camera da letto? Certo che sì. La sua presenza, come anche quella di bagno e cucina, nasce da una necessità imprescindibile. Come è noto, la possibilità di lavarsi, cibarsi e riposarsi sono alla base di una vita dignitosa, alla quale tutti dovrebbero poter accedere.
© Giulia Brusoni, Pianta modello abitativo, Milano, 2020.
Come la cucina ha visto nel tempo una sua estensione in un altro ambiente quale la sala da pranzo, come la zona bagno si estende in un antibagno che talvolta ospita macchinari come lavatrici e asciugatrici; non meriterebbe anche la zona notte di essere ripensata con una eventuale estensione del suo utilizzo, permettendo dunque una fruizione più estesa durante il giorno e non solo nelle ore notturne, evitando il semplice posizionamento di un tavolo e una sedia per leggere e scrivere?
© Giulia Brusoni, Sezioni modello abitativo (camera da letto, cucina e bagno), Milano, 2020.
Sembrerà essere solo una piccola porzione della nostra Casa ma, sempre più compressi negli spazi casalinghi, penso fermamente che tutti stiano iniziando a necessitare di sempre più spazio per compensare quella vecchia libertà; che si otteneva semplicemente percorrendo pochi gradini o schiacciando il pulsante di un ascensore.
Anch’io, durante la ormai famosa quarantena che sembra non volerci abbandonare, mi sono interrogata su quali esigenze avrei desiderato soddisfare a livello spaziale nella mia Casa, in particolare nella mia cameretta. In un momento di sconforto, dunque, mi sono divertita ad immaginare quello che sarebbe potuto essere un ambiente nel quale mi sarebbe piaciuto trascorrere il periodo di lockdown.
© Giulia Brusoni, Prospetto modello abitativo, Milano, 2020.
Ho provato quindi a ribaltare il tipico modus operandi: sono partita dalla progettazione della vecchia camera da letto, fino ad arrivare al disegno dell’intera abitazione. Così facendo, ho potuto gestire in ogni minimo particolare delle mie esigenze, come spazialità, illuminazione naturale e adeguata ventilazione della stanza, mettendo quindi al primo posto il vano di mio principale interesse. Mio, ma forse di molte più persone se si riuscisse ad omologare un’esigenza, o anche solo una preferenza, in modo da ideare un modello ripetibile. Un alter ego dell’open space, insomma, non per il soggiorno ma per la camera da letto.
Forse la spesso amata cameretta di ognuno di noi potrebbe essere proprio il punto di partenza per riappropriarsi di un qualcosa che non abbiamo ancora indagato abbastanza. Potrà questa fondamentale parte della Casa, spesso trascurata, evolversi in altro? Riusciremo ad immaginare e progettare uno spazio più ampio che cessi di essere solo un punto d’appoggio alla fine della giornata?
© Giulia Brusoni, Grafico superfici modello abitativo, Milano, 2020.
Copertina: © Giulia Brusoni, Prospettiva camera da letto, Milano, 2020.