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Scali Milano: Intervista a Giorgio Goggi

Nell’ottica di un confronto tra tre architetti sul tema degli Scali Ferroviari di Milano, è stato intervistato Giorgio Goggi.
Giorgio Goggi si laurea in Architettura al Politecnico di Milano, nel 1970, con 100/100 e lode. Membro dell’Ordine Architetti di Milano, a partire dal 1972 svolge attività come libero professionista con proprio studio in Milano. Consulente del Ministro dei Trasporti per lo studio dei problemi attinenti il trasporto individuale e quello di massa, 1984. Coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico del Ministero per i problemi delle Aree Urbane, dal 1987 al 1989. Membro della Commissione Scientifica Valtellina della Regione Lombardia 1988-1992. Dal 1991 al 2010, Vicepresidente della Commissione Traffico istituita dall’ACI di Milano. Dal 1994 è Socio Ordinario dell’AIIT, Associazione Italiana per l’Ingegneria del Traffico e dei Trasporti. Membro della Commissione Amministratrice dell’Azienda Trasporti Municipali (ATM) 1997-98. Dal 1998 al giugno 2006 è stato Assessore ai Trasporti Traffico e Mobilità del Comune di Milano, dal 1999 al giugno 2006 con delega Assessore alla Pubblicità.
Oltre alle sue attività professionali ha ricevuto molteplici incarichi accademici e pubblicato parecchi scritti.
Giorgio Goggi crede che “la cultura architettonica deve tener conto della città, di tutto l’ambiente costruito e non solo delle costruzioni”; questa la chiave di lettura per analizzare il tema degli Scali Ferroviari di Milano.

1 – Cosa sono gli scali ferroviari per lei e quali opportunità ritiene che questi possano portare alla città di Milano?

Gli scali ferroviari sono un’enorme area disponibile all’interno di Milano perché hanno perso la loro funzione di gestione delle merci. Sono un’area che deve servire alla strategia di sviluppo urbano, quindi prima di decidere cosa fare degli scali ferroviari di Milano, sarebbe stato necessario decidere qual è la strategia di sviluppo di Milano.
Vedere gli scali ferroviari solo come un’area disponibile per l’edificazione, quindi destinata al residenziale, terziario, o comunque a destinazioni indifferenziate, mi sembra riduttivo rispetto alla rilevanza del problema strategico.

Le città si costruiscono su un hardware molto solido, composto dalle funzioni e dalle reti di trasporto, quindi la città costruisce se stessa riorganizzando le reti di trasporto e sistemando le funzioni all’interno. Per esempio Milano, negli anni ’80 quando è partita la costruzione del passante ferroviario, ha deciso di inserire nell’intorno alcune funzioni importanti, episodi come l’Università a Bovisa o il Centro Direzionale a Garibaldi-Repubblica.
Nel Documento Direttore, che ha avviato il progetto, si è decisa la strategia della città prima ancora di decidere l’edificazione, ovvero si è preferito edificare prima funzioni importanti per la città piuttosto che costruire edilizia privata.
Questo perché l’area urbana di Milano, non è costituita dalla sola città di Milano, essa è un insieme di insediamenti piuttosto grande, che si espande anche oltre la Città Metropolitana.

L’area urbana funziona perché non è costituita solo da Milano, ma anche da una serie di comuni che sono autonomi. Se vogliamo che quest’area urbana continui a funzionare, deve avere tutte le condizioni di accessibilità di una grande città.
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d esempio Londra e Parigi, che erano basate soprattutto sulle metropolitane, hanno iniziato a costruire i passanti ferroviari per servire l’intero sistema urbano. Milano, anche se è meno compatta, ha già costruito un primo passante ferroviario, ma per il suo perfetto funzionamento dovremmo costruire delle reti che consentano a tutti la mobilità senza utilizzare l’automobile.

Quindi è inutile istituire l’area B quando abbiamo 500.000 auto che entrano a Milano e solamente 15.000 posti di parcheggi di interscambio.

La prima cosa da fare quando ci sono grandi aree libere nella città, è capire quale strategia di sviluppo si debba applicare e se ci siano necessità di localizzare grandi servizi pubblici.
Nelle città sviluppate le grandi funzioni sono messe nei nodi della rete di trasporto, possibilmente nei nodi ferroviari. Parigi, ad esempio, ultimamente ha spostato tutta la cittadella giudiziaria sopra una stazione.

Noi avevamo una grande opportunità, il passante ferroviario e le aree di scalo presenti sul suo tracciato, per esempio Farini.
Dal mio punto di vista la strategia che si sta perseguendo adesso a Milano è sbagliata. Infatti inserire le funzioni in luoghi periferici (Città della Salute o la nuova sede dell’Università all’Expo), che pur essendo in prossimità delle stazioni sono ancora troppo lontane da esse, piuttosto che utilizzare aree esattamente sopra i passanti ferroviari come l’area del Macello oppure Farini, genera una città sottosviluppata.

Non possiamo decidere le funzioni in base alle occasioni immobiliari, dobbiamo prima proporre una strategia di sviluppo.
Era stato progettato il secondo passante ferroviario di Milano, ad integrazione del primo. Con questo partendo dalle 500 stazioni della Lombardia si sarebbe potuto arrivare direttamente nel centro di Milano in treno. Era stato stipulato un Protocollo d’Accordo che prevedeva che FS utilizzasse le aree per realizzare il secondo passante, che i proventi delle urbanizzazioni fossero utilizzati per la costruzione dell’infrastruttura e che l’operazione fosse integrata da finanziamenti di altro tipo.
Quindi di fatto non si toglieva niente ad FS, avrebbero scambiato impianti ferroviari con nuovi impianti ferroviari. Questo avrebbe cambiato la faccia di Milano e della Lombardia. Purtroppo l’ex sindaco Moratti decise di cancellare il secondo passante ed inoltre rallentò la costruzione della Metropolitana 4 che altrimenti sarebbe potuta essere pronta per l’Expo.

C’è una carenza di visione nei nostri amministratori per quanto riguarda lo sviluppo delle città, non si rendono conto di come si debba costruire una città, non si rendono conto che la città di Milano comprende un sistema più vasto di insediamenti.
Inoltre aver istituito la Città Metropolitana per eliminare i conflitti tra Comune e Provincia è stato un errore, i conflitti si componevano, oggi l’ex-provincia non ha più voce.

2 – Qual è la sua visione progettuale per questi spazi urbani?

Penso che in prossimità delle stazioni si debbano realizzare i grandi servizi pubblici (università, ospedali, uffici pubblici) in modo che siano accessibili a tutti da tutta l’area urbana e non solo da Milano.
Questo occuperebbe una parte dello spazio disponibile, ma ovviamente non tutto. Nel resto degli scali bisogna trovare il giusto equilibrio di funzioni, anche residenziali; io privilegerei il verde. Nella proposta di FS ci spazi verdi un po’ dappertutto, tuttavia io prenderei un grande scalo e lo convertirei completamente in verde, progettando un nuovo parco urbano per la città.

Poi c’è il problema dell’edilizia economica popolare, a Milano fino a qualche anno fa c’erano 30.000 domande di alloggi inevase ed adesso probabilmente sono ancora di più a causa dell’immigrazione. Assistiamo ad un fenomeno continuo di occupazione abusiva degli alloggi.
La Legge 167 del 1962 obbliga a trovare aree destinate ad edilizia economica popolare per il 40% del fabbisogno, ciò nonostante il P.G.T. di Milano non ha mai applicato questa legge.
Una volta si poteva espropriare a prezzo agricolo grazie alla Legge 865 che rispondeva ad una situazione di emergenza, per risolvere il problema drammatico della casa negli anni ’60. Negli anni ’80 il problema era stato risolto ma ora si è ripresentato. Oggi occorre espropriare a prezzo di mercato, ma oggi i Comuni sono proprietari di grandi spazi.
Milano ad esempio possiede 4 milioni di metri quadrati inutilizzati, compresi gli scali, quindi potrebbe costruire su queste aree senza dover espropriare.

Dopodiché si può pensare di coinvolgere anche il capitale privato attraverso alcuni meccanismi, una volta si usavano le cooperative che ricevevano contributi sul tasso di interesse, oggi si potrebbero dare finanziamenti pubblici a chi costruisce case popolari.
Agli immigrati dobbiamo fornire casa e lavoro, bisogna affrontare la questione a prescindere dalle posizioni politiche di ognuno, altrimenti diventa socialmente pericolosa.
L’Amministrazione ha dato ad FS l’onere di realizzare edilizia economica popolare, ma la vera edilizia popolare riguarda solamente per il 3% del totale, il restante è destinato parte ad edilizia convenzionata e gran parte ad edilizia medio alta o di lusso che poi, molto probabilmente, resterà invenduta come CityLife e Santa Giulia.

Bisogna smarcarsi da alcuni meccanismi della finanza internazionale, come quello di FS che per finanziarsi vende i terreni a società immobiliari che hanno molte risorse finanziarie da impiegare. Indipendentemente dal fatto che si riesca a vendere gli appartamenti oppure no, loro guadagnano comunque.
Ferrovie dello Stato ha subito una mutazione aziendalistica, per cui non si muove più come una società che deve fare l’interesse del pubblico e servire i cittadini bensì come una società privata che cura i propri interessi finanziari.

Nell’ottica del potenziamento del trasporto pubblico, FS dovrebbe convertire gli scali ferroviari dismessi in prossimità delle stazioni periferiche ed in tutta la regione trasformandoli in parcheggi di interscambio, dando la possibilità di utilizzare i treni a più persone, e non solo a quelli che sono a distanza pedonale dalla stazione, invece chiede ai Comuni di edificare per ottenere vantaggi finanziari.
Non si può pretendere che i cittadini utilizzino il trasporto ferroviario quando nelle stazioni ci sono, se va bene, e solo in casi eccezionali, cento posti auto per parcheggiare, se consideriamo il fatto che un treno trasporta almeno mille persone.
Quindi se non si abita a distanza pedonale dalla stazione non si ha la possibilità di utilizzare il servizio, anche perché nelle piccole città le frequenze degli autobus sono di 20/30 minuti e in stazione non esistono nemmeno consistenti depositi per le biciclette.
Se lo scopo di FS fosse quello di trasportare i cittadini favorirebbe in ogni modo l’utilizzo dei propri mezzi.

Il Governo non dovrebbe consentire questo atteggiamento, dovrebbe garantire adeguata vigilanza, tutelando i cittadini e controllando Ferrovie dello Stato, come avrebbe dovuto fare con Autostrade per l’Italia.

3 – Cosa ne pensa dell’approccio da parte di FS nella gestione della riqualificazione degli ex scali?

Meramente immobiliare.

4 – Come farebbe dialogare la tradizione e la modernità milanese con questi spazi?

Secondo me modernità e tradizione, se funzionano bene, trovano da sole i loro spazi, magari non necessariamente negli scali.
Servono architetti che abbiano la cultura della città, nel caso di Milano abbiamo chiamato “archistar” che non hanno la cultura di questa città, che realizzano architetture che vanno bene nelle loro città. A Porta Garibaldi, l’architetto Cesar Pelli ha progettato la Torre Unicredit, ora le sue architetture a Los Angeles sono perfettamente integrate, ma l’episodio di Milano è fuori luogo, nonostante sia tra i migliori.
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nvece il grattacielo Pirelli, pur essendo un’architettura moderna è anche milanese. Quindi la tradizione può essere anche una tradizione moderna.

Cercare il nome altisonante per ottenere più finanziamenti dalle banche e raggiungere gente danarosa interessata all’acquisto è un meccanismo che alla lunga non funziona, mentre la cultura sedimentata degli architetti milanesi viene completamente trascurata perché non sono abbastanza “famosi”.

Detto questo c’è “archistar” ed “archistar”, per esempio il progetto di Renzo Piano per CityLife era molto bello, aveva capito tutto di Milano.
Non che mi piaccia Renzo Piano in assoluto, però quel progetto funzionava perfettamente.
Ci vuole più cultura, non vedo nei giovani architetti ed urbanisti quel livello di cultura che era insito negli architetti con cui mi confrontavo e da cui imparavo in gioventù.

5 – Cosa ne pensa delle grandi trasformazioni urbane (Porta Garibaldi, CityLife, Expo, ecc…) che hanno caratterizzato Milano negli ultimi anni?

Mi sembrano delle opere pubblicitarie, nel senso che Milano è diventata un punto importante del mondo soprattutto dopo Expo. Se guardate oggi gli spot pubblicitari in televisione, vi rendete conto che tantissimi sono girati a Milano. Anche il numero dei turisti è cresciuto molto dopo Expo, perché questi interventi hanno svolto anche un ruolo pubblicitario.
Le persone vengono a visitare Milano e poi vanno a vedere Piazza Gae Aulenti, architettura che potrebbero vedere a Boston, a Los Angeles piuttosto che in altre città, e trascurano i grandi esempi dell’architettura milanese.
Tuttavia il luogo è sempre pieno di gente, perché queste trasformazioni urbane rispondono ad un desiderio di nuovo espresso dalla gente ed hanno una funzione simile a quella pubblicitaria.

Vorrei che le persone attratte da queste architetture si rendessero conto che Milano è tutta disegnata, infatti non esiste città al mondo disegnata come lo è Milano, anche nei quartieri qualsiasi.
Quindi ben venga il fatto che si sia incrementato il turismo, però spero che qualcuno si accorga di qual è la vera architettura milanese e si ritorni a costruire in quel modo.

6 – Quali altre trasformazioni immagina per la Milano del futuro?

Tutte le città sviluppate fanno piani strategici che arrivano al 2050, in Italia non ci sono assolutamente piani di questo tipo o visioni del genere.
Immagino soprattutto delle trasformazioni urbanistiche che prendano atto della vera dimensione dell’area urbana milanese, che portino la città a funzionare bene come le principali città del mondo, con la possibilità di funzionare anche meglio, data la sua struttura.

Bisogna prestare attenzione alla collocazione delle funzioni, come dicevo prima bisognerebbe collocare, ad esempio, sulle stazioni le funzioni d’utenza regionale che già esistono a Milano. Dobbiamo stabilire una gerarchia tra gli insediamenti, rispettando ovviamente le funzioni dell’hinterland milanese che deve avere le proprie, come già ha.

È necessario sviluppare un pensiero laico sui sistemi della mobilità, si deve bandire l’ideologia e fare pace con la mobilità, bilanciando l’ecologia della città con i bisogni reali di chi si muove.
A questo proposito si dovrebbero fare i parcheggi di interscambio sia all’interno che all’esterno della città, senza colpevolizzare chi usa l’automobile ma promuovendone un utilizzo sensato.
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noltre non si può consentire nemmeno ai residenti di posteggiare gratis in strada, perché l’area pubblica non è un parcheggio privato, questo servizio deve avere un costo, come nella maggior parte delle città del mondo ed anche in Italia.
Si dovrebbero fare le vere pedonalizzazioni, il centro di Milano dovrebbe essere funzionalmente pedonalizzato, che non vuol dire bloccare le automobili, ma vuol dire fare entrare le vetture su itinerari ben definiti che arrivino in parcheggi interrati.
La metropolitana è una rete forte che può reggere un sistema di questo tipo.

Aprirei subito i navigli; senza fare le inutili cinque vasche, ma riaprendo tutto il sistema canalizio, rendendo navigabile un’infrastruttura di 150 km che si espande in tutta la Lombardia. Questo potrebbe procurare redditi molto superiori ai 250 milioni di euro necessari per l’operazione, ma soprattutto costruirà il grande paesaggio delle città del futuro.

Infine, in una città più pedonalizzata, con i navigli aperti ed una mobilità efficiente, si deve pensare al verde, però senza fondamentalismi ma trovando il giusto spazio anche a questa necessità.

7 – Quando, come e perché ha deciso che l’Architettura sarebbe stata la sua strada?

Ho deciso quale sarebbe stata la mia strada in Piazza Leonardo Da Vinci, davanti al Politecnico, dove ero andato ad iscrivermi insieme ad un amico. Avevamo preso i piani di studi di Ingegneria ed Architettura perché eravamo indecisi, leggendo i programmi degli esami io decisi di iscrivermi ad Architettura e il mio amico scelse Ingegneria. Già ero sicuro che avrei fatto il Politecnico, ho scelto la disciplina architettonica e sono molto contento di averlo fatto.

8 – Ad oggi qual è la sua definizione di Architettura?

La cultura architettonica deve tener conto della città, di tutto l’ambiente costruito e non solo delle costruzioni. Io non sono mai stato favorevole alla differenziazione tra Architettura ed Urbanistica, ho sempre pensato che l’esperienza dell’architettura fosse utile anche agli urbanisti e viceversa. L’Architettura deve interessarsi alla città, con profonda consapevolezza della storia artistica, architettonica, urbana e politica. Inoltre l’Architettura non deve essere autoreferenziale, quindi bisogna costruire qualcosa che non sia solamente un bell’oggetto in quanto tale, ma che costruisca la città, il quartiere o la casa dove le persone vivono bene.

9 – Quale consiglio vorrebbe dare ai futuri architetti?

Leggete! Non solo Architettura ma anche romanzi, la gente non legge più invece bisogna leggere tanto. Se si vuole acquisire sufficiente cultura non basta leggere un libro al mese, bisogna leggerne dieci.

 

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Marco Grattarola AdministratorKeymaster
He graduated in Architecture Sciences at the Polytechnic School of Genoa with a thesis on “Active Architecture”. He did two internships, in an art gallery and in an architecture studio. He currently attends the Master at the Polytechnic of Milan. His interests range from music to drawing, in which he experiments with curiosity and passion.
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